sabato 13 dicembre 2008

Siamo "lazzari felici"

È senza dubbio così che ci si sente. Penso che i Casalesi si sentano così. Da tanti, troppi anni. Mi viene in mente questa canzone di Pino Daniele mentre attraverso il Corso Umberto I con la mia macchina. Il Caos, il traffico vicino all’ufficio postale, la sosta selvaggia, il sorpasso dei motorini da ogni lato (anche se qualcuno ha iniziato a mettere il casco). Il girare a vuoto in questa giornata per le strade del mio paese provoca in me un mix di sensazioni contrastanti: ed è per questo che guardo questa città spenta che si accinge a festeggiare il Natale. La crisi economica è arrivata anche qui. L’anno nuovo non promette niente di buono, stando alle notizie che arrivano dal mondo da parte degli analisti finanziari. Se alla crisi che oggi arriva, uniamo quelle che sono le condizioni di abbandono di questi territori, piagati dalla disoccupazione, c’è da stare veramente male. Intanto però vedo diversi presepi per le strade del paese, opere di tante persone che, con la loro vena creativa, dimostrano che qui sappiamo fare anche cose buone (e non solo sparare o generare delinquenza) e mi consolo sperando che il Natale sia per questa terra un momento di rinascita. Questo però sarà l’anno nuovo a dircelo; per adesso continuiamo ad essere lazzari felici, gente che non trova più pace, come dice la canzone (se mai l’abbiamo avuta), ma che si accontenta di quel poco (molto poco) che ha.

mercoledì 26 novembre 2008

Lettera ad un Casalese mai nato.

Oggi avresti avuto ventisette anni.
Il nome da darti non era ancora stato scelto.
C’era tempo per pensare a quale fosse più bello per te. Ma non è stato così.
Saresti stato un altro figlio di questa terra : per questo motivo voglio chiamarti semplicemente Casalese.
Non so se sarà stata la volontà di Dio, il destino, il Caso o qualche altra cosa, a tenerti lontano dal mondo, a trasportarti in quello che ancora non conosciamo e che per noi dovrebbe venire (per chi è credente ovviamente).
Mi ritorni in mente mentre guardo questa città ferita, militarizzata, che si indigna e che subisce, che vive l’eterno dramma dell’essere o non essere una città normale.
Provo ad immaginare la tua vita, quella che non è stata, e di come sarebbe potuta essere in questa città.
Sai, mio caro Casalese, in questo periodo non saresti stato felice.
Avresti visto una città, già a pezzi per conto suo, terra di contraddizioni esasperate, in pasto a tutto quello che c’è di mediatico.
Specchio di malaffare e di camorra, di bontà umana e di ferocia, divorata dal di dentro e dal di fuori, bevuta come fosse un bicchier d’acqua da quelli che sono assetati di sangue e calpestata da chi la circonda, che spesso non sa di cosa parla.
Provo a immaginare la tua vita: le strade che avresti potuto prendere una volta nato qui, in questa landa desolata, terra di nessuno e di tutti, la vita che sarebbe cominciata anche per te.
Gli anni dell’infanzia sarebbero stati abbastanza felici, avresti avuto la tua bicicletta ed avresti potuto scorazzare libero, non curandoti di ciò che avveniva intorno a te: i morti, il cemento che cresceva sempre più, la paura della gente perbene, i pianti, le sirene, gli arresti, i rifiuti tossici scaricati nel sottosuolo, le speranze spesso disattese.
Non ti avrebbero scalfito queste cose.
Avresti pedalato e rincorso un pallone nel tuo cortile, libero ed inconsapevole di crescere in quella che sarà chiamata, tanti anni dopo, “Gomorra”, a torto o a ragione.
Con la scuola che ti avrebbe dato i primi strumenti per comprendere la vita, per capire il senso delle cose attorno a te e su cui avresti iniziato a porti semplici domande, che molto spesso avrebbero fatto tenerezza.
Le tabelline sarebbero sembrate così difficili ma così importanti. Avresti guardato le tue mani e avresti fantasticato sui numeri partendo dalle tue dita.
Poi saresti cresciuto, avresti iniziato a porti sempre più domande, mentre il mondo intorno a te girava.
Questo avrebbe generato in te, allo stesso tempo, paura e gioia, voglia di creare qualcosa di nuovo e di buono, misto alla paura di sbagliare.
Avresti iniziato a frequentare queste piazze, o per meglio dire questi “marciapiedi”, e ti saresti accorto che non avevi dove andare, perché non vedevi nessun luogo di ritrovo, nessun centro di aggregazione, nessun punto dove poter pensare, discutere e poter crescere insieme con gli altri.
Solo bar e cemento.
Auto, moto, caos, bar e cemento, neppure una bicicletta (perché ti avrebbero spiegato che quella “la portano gli sfigati, i neri ed i marocchini”).
Le impennate con la moto, rigorosamente senza casco, ti sarebbero sembrate assurde e pericolose eppure ne avresti viste tante.
E se cade con la testa a terra?” ti saresti chiesto. “No, non cade” ti avrebbe detto qualcuno, “ci sap’ fa’” (ci sa fare).
Ed ecco quindi attorno a te il mondo che sarebbe iniziato a girare sul serio : le risate grasse ed i commenti nei bar, gli scherzi agli amici, e tanto altro avrebbero colorato le tue giornate.
Il tuo primo piaggio SI ti avrebbe fatto sentire padrone del mondo : nemmeno tu avresti portato il casco, ma solo perché, per il contesto culturale, a volte sbagliato, che ti circondava, non ne avresti capito il senso.
Avresti iniziato a sviluppare in te quel senso di contraddizione che vive questo paese : eccoti qui a contatto per la prima volta con la triste realtà di questa terra.
Avresti potuto scegliere l’una o l’altra strada, ma provo ad immaginarle entrambe.
Avresti potuto incontrare chi si atteggia, che non paga a nessuno e si fa rispettare. “ Perché non mi fai compagnia? devo andare a fare un servizio urgente” E tu avresti potuto chiederti che c’è di male. “Sabato sera andiamo ad una discoteca, vuoi venire?: non ti preoccupare per i soldi, noi non paghiamo a nessuno anzi sono gli altri che ci pagano per stare tranquilli”.
Di soldi ne avresti visti tanti ed avresti anche tu partecipato al divertimento effimero di qualche ora, magari senza chiederti come fosse stato possibile.
Ti piace quel cappotto e quella maglia? Vai là non ti preoccupare : vai a nome mio e non ti preoccupare, noi non paghiamo a nisciuno”.
E ti saresti chiesto : in fondo che male c’è, sarà uno che conosce e che gli deve qualche cortesia.
Poi sarebbero arrivate le prime bravate e le prime prove di coraggio. I primi reati.
In fondo che male c’è, stiamo nel gruppo, noi non paghiamo a nisciuno, siamo forti, litighiamo e rompiamo la testa a tutti; a volte sarebbe bastato solo dire “song ‘i Casale” per dare un triste e velato avvertimento di come sarebbe potuta finire la cosa.
In fondo che male c’è andare fuori e farsi rispettare.
E non ti saresti accorto che il baratro si sarebbe aperto davanti ai tuoi piedi: questa sarebbe stata una parte della “bella vita”, ma non tutta la vita. Perché quel senso di onnipotenza ti avrebbe portato poi a percorrere strade sbagliate (molte volte battute da chi si era sentito come te) e che non portano da nessuna parte.
Avresti potuto maneggiare soldi facili, ma quale sarebbe stata la contropartita?
A prezzo di faide e guerre di camorra, di latitanze e di sangue versato senza motivo, di paure; non avresti mai potuto godere della felicità di veder crescere i tuoi figli secondo quello che è il naturale ciclo della vita.
Rincorso e braccato da chi ti avrebbe odiato perché appartenente ad un clan avverso (e con l’intento di eliminarti fisicamente) o rincorso e braccato dalle forze dell’ordine, che ti avrebbero voluto rinchiudere in una stanza di cemento freddo, come sono le stanze del 41 bis.
Ecco, questa sarebbe potuto essere una prima strada.
Provo ad immaginare invece anche un’altra strada per te.
Saresti potuto essere una persona onesta con tanta voglia di cambiare questo paese, cercando, giorno per giorno, di renderlo più civile e più bello di com’è.
Saresti potuto crescere lo stesso su questi “marciapiedi” ma cercando di aggregarti a quelli che non fanno male a nessuno.
Nelle parrocchie e nelle associazioni di volontariato.
Aiutare, insomma, questo paese ad alzarsi da terra, cercando anche di venire incontro a chi sta in difficoltà , tenendoti per mano con i tuoi amici ed i tuoi fratelli.
Quella voglia di cambiamento ti avrebbe guidato per tanti anni, sarebbe stato l’unico motore della tua vita sociale.
Avresti cercato di crescere culturalmente, magari interessandoti di libri, di politica, di mostre, di musica e tanto altro, per cercare di dare un'immagine diversa di questo posto.
Ma avresti visto anche come, molte volte, l’opinione pubblica tratta il tuo paese, la tua terra.
Mescolando al veleno portato e seppellito qui da mani ignobili, l’ipocrisia tutta italiana di dare aiuto a parole ma mai con i fatti.
In fondo chi se ne sarebbe fregato se nella tua Casale dieci, cento,mille giovani o mille famiglie potevano essere persone perbene, grandi lavoratori, e con il desiderio e la speranza di uscire dal pantano in cui si trovavano?
Saresti stato, al di là di questa provincia (e molto spesso anche in essa), sempre e comunque un figlio maledetto di questa terra, guardato a vista e trattato da appestato.
Nell’ottica di chi sente perbenista, avresti potuto essere (chi lo sa) un altro camorrista, figlio, parente o conoscente di camorrista, uno con la pistola facile, uno che alla comunione aveva avuto in regalo una pistola.
Senza poter spiegare che nemmeno sapevi come poteva essere fatta una pistola o che le responsabilità di alcuni non possono e non devono ricadere su tutti gli altri.
Ad un colloquio di lavoro, magari per qualche grossa azienda, ti avrebbero fatto intendere che nonostante tutti i requisiti giusti, (cerca di capire!) un figlio di questa terra non potrebbe fare quel lavoro, insomma avresti potuto essere incline al malaffare, perché sulla carta d’identità c'è quel marchio “residenza Casal di Principe”.
È come se, solo per il fatto di aver avuto la sfortuna di nascere qui, tu avessi un senso di rispetto e di legalità inferiore a chi abita invece a Rovigo e a Padova o a Milano.
E questo ti avrebbe fatto sentire ancora più solo e scoraggiato.
Allo stesso tempo saresti stato sia circondato dai tuoi carnefici che tenuto a debita distanza da chi ha visto e sentito alla TV che lì sono tutti camorristi, sono casalesi e basta, una razza maledetta insomma.
Senza poter spiegare a nessuno che spesso chi sceglie la strada della camorra ha sempre un nome e cognome e non può avere mai quello di un popolo.
Questa realtà non va solo fotografata da chi si sente reporter per un giorno in terra di camorra , perché con le foto e le immagini si danno solo dei volti, in quel momento ed in quel posto, ma non si riesce a cogliere appieno la realtà.
Questa terra va invece annusata ed osservata, per poter capire che di mele marce ce ne sono tante ma altrettante sono buone.
Ecco amico mio, Casalese mai nato, le contraddizioni di questa terra.
A te che non sei mai nato, la fortuna di non aver dovuto subire tutto questo.
Voglio solo immaginare e sperare che nell’aldilà, dove tu ti trovi adesso, quando un giorno ci ritorneremo anche noi , non chiedano da dove vieni ma solo cosa hai fatto nella tua vita.
E se da lassù vorrai dare ogni tanto un’occhiata su questa terra, troverai tanta gente, che non fa notizia, sempre dalla stessa parte: in quella laboriosa, solidale, onesta e civile.
Quella parte insomma che non si arrende alle angherie che quotidianamente subisce, ma s’impegna invece, anche con piccolissimi gesti quotidiani, a cambiare questa terra di nessuno.

lunedì 10 novembre 2008

Crozza e la legge universale dei luoghi comuni

Sono rimasto allibito da quello che ho appena visto e sentito!
Premetto che sono un fan di Maurizio Crozza e, quando posso, cerco sempre di guardare il suo programma (Crozza live) o le sue apparizioni in tv (Ballarò etc.).
Mi accingevo a cercare qualcosa che facesse riferimento al suo show e, per puro caso, m’imbatto in questo video della terza puntata che non avevo visto http://www.la7.it/intrattenimento/dettaglio.asp?prop=crozza
Purtoppo, già dalle prime battute, sono rimasto veramente disgustato.
Il titolo era ed è : il padrino e i casalesi.
C’è Crozza (nei panni del Padrino) e l’attore Pierfrancesco Favino che cerca di interpretare un presunto boss, un camorrista.
Ma invece di chiamarsi “ il boss pincopallino”, indovinate come viene chiamato? Casalese (nel tono più sprezzante possibile)!
L’interpretazione non è delle migliori ed è (come si conviene ad una Tv che non sa di cosa si sta occupando) il perfetto stereotipo di quello che negli ultimi tempi l’opinione pubblica nazionale pensa delle persone che vivono in questa terra.
Nemmeno io, che vivo da quasi trent’anni qui, respirando ogni giorno l’aria di questa cittadina, riesco a comprendere quello che dice il presunto casalese.
Una cosa emerge: casalese (sia buono che cattivo) è per questi signori sinonimo di ignoranza, inciviltà, prepotenza, malcostume, malaffare, un essere troglodita insomma.
Ed io mi chiedo: ma chi vive a Bolzano o a Brescia cosa penserà di noi? Semplice: siamo dei tipi da evitare.
Sono e resto convinto che questi luoghi comuni non portano da nessuna parte: cosa si vorrebbe far credere che siamo un popolo fatto come l’interpretazione di Favino? E Crozza, che fa il comico (tra l’altro in tante occasioni è pure bravo), pensa che sulla demonizzazione di una comunità si possa ridere e scherzare? Pensa che faccia bene alla causa anticamorra rappresentare in quel modo un casalese tipo, colorandolo con uno slang che dio sa a cosa fa riferimento e che neutralizza quel barlume di speranza e voglia di riscatto che pure c’è?.
Si dirà che questo non interessa a nessuno : logico, troppo facile è prendere a calci e pugni chi è già riverso a terra sanguinante. Il casalese onesto, quello che abita in questo paese, non è assolutamente contro Saviano (come si dice nel filmato), a cui va il merito di aver acceso i riflettori sul fenomeno criminale di queste zone, ma fa rabbia essere presi a schiaffi da un lato dai mass-media nazionali, e dall’altro da chi ha avvelenato per troppo tempo questo territorio.
Lo dico in tutta sincerità: è un vero e proprio atto di prepotenza mediatica, una vigliaccheria che non va giù a chi pur vivendo qui e sentendosi casalese, sa come leggere un libro (magari lo sa pure scrivere!), sa articolare un discorso, s’informa, conosce, insegna ai propri figli e fratelli l'importanza delle buone maniere e del rispetto dell’altro, educa alla solidarietà e all'aiuto per chi si trova in difficoltà e all’importanza del lavoro.
Con buona pace di Crozza e compagnia (e dei loro autori), che oggi, con questa pagliacciata televisiva, hanno reso un pessimo servizio al paese e alle persone perbene.
Voglio fare un appello : mi rendo disponibile ad accompagnare Crozza e Favino a fare un giro in questa città: farò vedere e conoscere loro casalesi che hanno scritto libri, casalesi poeti, casalesi bravi professionisti, bravi agricoltori e bravi artigiani.
Ma questa, come direbbe Carlo Lucarelli, è un’altra storia!

domenica 9 novembre 2008

Una malattia a trasmissione residenziale : da dove vieni o piuttosto chi sei?

Negli ultimi tempi, visti i riflettori accesi dalla stampa sulla mia terra, non sono state poche le scorrettezze, le diffidenze (ed un senso di ostracismo strisciante) che hanno colpito molti di noi (parlo in generale ovviamente).
Mio Dio, sarà pure Gomorra city (come la definiscono in tanti) ma una percentuale altissima non merita di essere trattata come i “Nuovi Rom”.
Avete fatto mai fatto caso al senso di diffidenza che circonda i Rom ?
Ebbene negli ultimi tempi questa paura incontrollata sembra perseguitare anche chi, alla domanda più naturale del mondo, e cioè “da dove vieni?” risponde candidamente “sono residente a Casal di Principe”.
In tanti iniziano a guardarti sotto un’ottica diversa ed in modo sospettoso : pensano “ma questo a quale camorrista appartiene, è un infiltrato, è un colluso, ha la pistola, mi chiederà il pizzo, e adesso mi minaccerà etc..”.
Poveri illusi : in un epoca in cui conta più l’apparire che l’essere, non c’era da aspettarsi qualcosa di diverso.
Se sei un delinquente ma sei della bella Milano, non sei un Milanese (in senso spregiativo), sei un delinquente e basta. Forse perché la “Bella Madunina” ti protegge!
Ma se sei di Casal di Principe, ebbene sei un Casalese (con il tono più sprezzante di questo mondo), uno del clan, uno con la pistola facile, con tutto ciò che ne consegue.
E questo genera rabbia in tanti giovani, in tante famiglie, in tante persone perbene che hanno come unica colpa quella di essere residenti in questa landa desolata.
Forse perché non abbiamo altre case, altre residenze, in cui diluire quella paura che circonda questa realtà, in cui riacquistare quella dignità che già abbiamo (e che non verrà mai meno!), ma che viene appannata da questo show mediatico che ci circonda.
Ecco la domanda : se un delinquente della mia città cambia residenza e si trasferisce magari a Torino, Bologna, Modena, Roma sarà sempre un delinquente o quel "marchio doc infamante" verrà lasciato a quelli che rimangono lì, che hanno l’unica responsabilità di essere ancora in quel posto?
Forse solo perché sei di Parma puoi tranquillamente fare un “Crak” (alla Parmalat), lasciare intere famiglie sul lastrico e prive dei risparmi di una vita (altro che estorsione!) e poter circoscrivere il fenomeno ad uno solo (e non ai Parmigiani), mentre invece da noi le cose si trasmettono automaticamente, chiunque le faccia.
L’apparenza inganna ed anche i luoghi comuni: conta piuttosto come agisci e chi sei realmente per qualificarti, non delle semplici parole scritte su un pezzo di carta d’identità.
Noi Casalesi Onesti siamo caduti in una voragine insieme con i nostri carnefici: purtroppo, invece di tirare fuori chi con queste persone non ha nulla a che fare, l’opinione pubblica, i media ed i benpensanti, hanno deciso che è meglio lasciarci tutti lì dentro.
In fondo le ultimi indagini hanno rilevato che tanti, tantissimi che scelgono questa strada maledetta sono di altri paesi limitrofi, di altre province, ma forse mai balzati al disonore delle cronache nazionali.
Una malattia a trasmissione residenziale dunque: basta non avere il marchio sulla carta d’identità per tirare un sospiro di sollievo e fare quello che si vuole (soprattutto illegale).
Per chi volesse provare questa “ebbrezza”, mi rendo disponibile ad ospitarli per il cambio di residenza sui propri documenti.
Vedrete, sarete anche voi contagiati da questa malattia, ma non appena ritornerete a quelle precedenti, a quelle poche parole scritte sui documenti, tutto magicamente scomparirà.
Con buona pace dei benpensanti e dei “grandi esperti”.

sabato 8 novembre 2008

La giostra

Ieri mattina è venuta a trovarci una delegazione della Commissione Cultura della Camera dei Deputati. Com’era prevedibile ci sono stati sia cerimoniali che pose di rito, gli applausi, le belle parole e…discorsi vuoti.
Ormai negli ultimi tempi mi convinco sempre di più che un politico che si rispetti deve essere stato, durante il proprio cursus honorum, almeno una volta, nella mia amata e odiata città (questo dipende dai punti di vista!).
E magicamente dopo una “passatina” in auto blindate per qualche strada principale del paese (tra l’altro diverse di esse con buche enormi! sic!!), torneranno tutti alle loro amate e belle case, magari in un paese ricco del Nord, faranno conversazioni con i loro familiari, amici e sodali, nei loro bei salotti o in qualche puntata di Porta a Porta e potranno dire, con il petto gonfio e pieni di orgoglio, che sono stati a Casal di Principe e che lì “hanno combattuto la camorra”.
Come se combattere questi fenomeni volesse dire fare una gita: quando la smetteremo con queste ipocrisie? È come se decidessi, domani mattina, di andare in Iraq, magari viaggiando in qualche Hammer blindato, e nel fare ritorno a casa potessi dire a tutti "sono stato laggiù, ho attraversato fulmini, saette, razzi katiuscia e ho combattuto i kamikaze ed i terroristi di Al-Qaida".
Applausi. Bravo. Complimenti. Ammazza che coraggio.
Questo sarà un modo per sentirsi soddisfatti.
Vedo spesso grandi esperti di camorra sui blog o nei programmi televisivi. Qualcuno si vanta di aver combattuto il fenomeno attaccando qualche adesivo sui pali della luce!
A volte pensano di conoscere gli orrori, le paure, le speranze, le sofferenze di questa terra senza sapere nemmeno dove si trova sulla cartina geografica.
Magari sanno che è nel casertano, o forse vicino alla Reggia di Caserta, o forse in qualche parte in Terra di Lavoro (sarebbe meglio dire terra di disoccupazione!).
Quanto durerà questa giostra mediatica dove ognuno vuole farsi un giro?
I riflettori accesi servono per aiutare un popolo martoriato a non morire con i propri carnefici o servono solo per osservare un cadavere che si deve decomporre?
Quando la collettività e lo Stato si faranno carico di questi problemi e cercheranno( insieme con noi sia chiaro) di risolverli? Non bastano centinaia di poliziotti, carabinieri (e chi più ne ha più ne metta) per dare speranza ad una comunità.
Ci vuole ben altro!
Dare delle opportunità di riscatto a chi pur da Casalese ha la voglia di impegnarsi e continuare a fortificare sempre di più il buono che pure c’è.
Ma in fondo ai “grandi esperti” basta essere saliti sulla giostra, e per il resto…chi se ne frega!

venerdì 7 novembre 2008

Il mondo visto da Casal di Principe

Dopo vari tentennamenti, ho deciso stamattina di dare inizio a questa nuova avventura: scrivere e raccontare attraverso il blog il mondo visto da Terra di Lavoro (per chi non lo sapesse si tratta della Provincia di Caserta!).
Raccontarlo soprattutto attraverso gli occhi del sottoscritto e di chi vive una realtà particolare e difficile, che negli ultimi tempi è balzata agli onori (o al disonore??!) della cronaca e di tutti i massmedia nazionali : Casal di Principe.
Non ho grandi pretese, vorrei solo che, attraverso questo luogo virtuale, in cui si possono lasciare i propri pensieri (e possibilmente confrontarli con quelli degli altri), si possa trasmettere un messaggio di speranza per il futuro: dimostrare che queste terre non sono e non saranno solo terre di camorra, ma luoghi pieni di speranze, impegno, creatività, talenti e solidarietà, terre in cui vivono persone "normali" che hanno l'unica colpa di condividere e calpestare lo stesso suolo con i propri carnefici.

Emilio Lanfranco